Tutti i luoghi reali sono stati sostituiti da altri luoghi che nulla hanno a che vedere con l’accaduto.
La scelta sul mio futuro avveniva proprio nel 2008, un anno terribile per la ricerca del lavoro, data la crisi economica che era scoppiata proprio in quell’anno.
Fu dura per me osservare i miei amici di scuola, A. ed M., vivere appieno le loro vite, viaggiare, scoprire il mondo e se stessi mentre io ero sempre ferma allo stesso punto: casa-chiesa in un loop continuo.
Questo loop si spezzava con qualche sporadico colloquio di lavoro (che non andava mai a buon fine) e con quel paio di passioni che ero riuscita a ritagliarmi: la fotografia e la batteria.
Ma più in la di così non andavo, a quel punto non avevo più nemmeno degli amici con cui svagarmi (erano tutti partiti e i giovani della chiesa di pinerolo erano diventati una sorta di nemico essendosi creata questa guerra fredda tra la pastora G. e il pastore D.)
Ero riuscita a ritagliarmi un lavoretto come aiuto compiti ad un ragazzino della chiesa e qualche volta aiutavo un fratello della chiesa nella sua ditta di distribuzione di volantini.
Non riuscivo a farmi uno stipendio eppure ero ligia nell’osservare la regola della decima, ossia versare il decimo delle proprie entrare alla chiesa (seguendo la tradizione ebraica presente sia nell’Antico Testamento sia nelle chiese a cui l’apostolo Paolo scriveva le sue epistole).
Le decime sono la maniera in cui la chiesa si finanzia: affitto del locale di culto e le relative bollette, eventuali attività di evangelizzazione, ritiri spirituali e, nelle chiese più grandi, stipendiare i pastori e quei collaboratori che servono la chiesa full-time.
Può essere tranquillamente definita una tassa che è obbligatoria ma non ti viene imposta con la forza, ti viene inculcata nel tempo.
Esiste un’opportuna lettura in un libro dei profeti dell’Antico Testamento che dice proprio che chi non da la decima sta derubando Dio, e questo concetto viene spesso sottolineato a coloro che si rifiutano di versare mensilmente quei soldi.
All’inizio del 2009 iniziai a tenere delle agendine in cui raccontavo tutti i miei pensieri e le mie “avventure” (come le chiamavo io).
Quelle agendine mi aiutano a rimettere insieme tutti i pezzi della mia memoria e a raccogliere sentimenti e pensieri vari.
Nel 2009 la pastora decise di affidarmi i “giovani” della chiesa (che poi erano 4 ragazzini dai 10 ai 13 anni) ai quali avrei dovuto fare insegnamenti sulle basi dottrinali e qui quei principi di vita che avevano inculcato a me quali il giusto comportamento da tenere in un fidanzamento cristiano e in un successivo matrimonio.
Ricordo che questi insegnamenti mi imbarazzava molto farli ai dei ragazzini, specialmente perché io stessa non avevo avuto altro che qualche cottarella mai corrisposta: cosa mai avrei potuto insegnare?
Eppure lo feci perché, a detta della pastora, io avevo ricevuto da Dio il ministero della cura dei giovani (il ministero, nel gergo evangelico, è una cosa grossa. Per intenderci: gli apostoli avevano ricevuto un ministero, i profeti avevano ricevuto un ministero).
Avevo 19 anni, stavo faticando a prendere la patente (perché ero un po’ imbranata), non sapevo che strada avrebbe preso la mia vita e mi veniva data una responsabilità così grande.
Iniziai a pensare che la pastora aveva ragione, dovevo dedicarmi a quel ministero e non dovevo dedicarmi alle cose futili del mondo.
Le mie passioni dovevano essere impiegate per Dio, quindi continuai a suonare la mia batteria da sola in attesa che la chiesa crescesse tanto da avere un gruppo lode.
La fotografia la usavo solo per diletto nelle poche uscite che potevamo fare in montagna d’estate, sempre con la pastora che ci radunava per fare dei ritiri di preghiera di uno o più giorni.
Da questi ritiri nacque la necessità di trovare un posto dove poter far campeggiare tutta la chiesa (che era composta da non più di una quindicina di membri) e fare dei ritiri in stile “PDG” (la chiesa di Verona ha una struttura ormai a livello alberghiero per ospitare gente da tutta Italia).
Tramite qualche conoscenza una sorella della chiesa suggerì il campeggio comunale di Pienza e da quell’anno in poi si iniziò a piantare tende lì ogni estate per due settimane, tutta la chiesa, mentre la pastora ci si trasferiva per tutta l’estate (scendendo solo la domenica per predicare e affidando le riunioni settimanale alla sua vice).
Come dicevo la fotografia l’avevo lasciata un po’ in disparte ma nell’estate del 2009 capii che volevo tentare quella strada professionale.
Ricevetti il benestare della pastora, purché non lasciassi la chiesa e, dopo aver escluso le università (perché troppo costose e/o lontane) trovai un corso per appassionati presso una fondazione artistica a Firenze.
Si trattava di una lezione serale a settimana e il piano per convincere i miei genitori era perfetto: andare a dormire a Firenze da mia nonna materna e ritornare in valle la mattina dopo.
Ci volle un po’ per convincere i miei genitori a fare questo investimento per il mio futuro (ovviamente non avevo abbastanza soldi per poterlo pagare e in quel periodo i corsi di fotografia non erano così alla portata di tutti).
Mio padre, in special modo, non vedeva un futuro lavorativo per me in quel campo e questa sua perplessità fu una delle cose sfruttate dalla pastora per attuare il suo piano di dividere la mia famiglia (cosa che nel tempo aveva gradualmente iniziato a fare screditando l’operato dei miei genitori agli occhi miei e di mia sorella, spesso ci faceva notare come , secondo lei, non erano dei buoni genitori perché non provvedevano ai nostri bisogni e ci facevano vivere in una condizione economica infelice visti i numerosi debiti accumulati da mio padre negli anni).
Si perché, a distanza di anni e con un po’ di maturità in più, ci vedo un piano con una motivazione non poco chiara se non quella del dominare delle vite.
Ad ogni modo riuscì a frequentare questo corso e, per quel giorno a settimana, mi sembrava di vivere, finalmente avevo qualche cosa da raccontare ai miei due amici nelle nostre mail/messaggi e quelle rare volte che ci si riusciva a vedere a distanza di mesi.
Frequentai, dall’autunno alla primavera il corso base, e poi subito dopo riuscì a convincere i miei genitori a partecipare al corso avanzato.
Proprio durante questo secondo corso ebbi una nuove esperienza: avere un “fidanzato”.
Era fine aprile del 2010 e tramite un’uscita pratica di fotografia di reportage conobbi L. un musicista di strada (io avevo 21 anni e lui 27).
Ci frequentammo (in segreto) e lui mi fece una corte molto serrata.
Non mi era mai successo di avere un ragazzo interessato a me in senso romantico, quindi, a distanza di tempo, penso di essermi invaghita delle sensazioni che mi faceva provare più che di lui.
Comunque finì che dopo un bacio ci mettemmo insieme.
Avevo il terrore di dirlo alla pastora, non a mia madre ma alla pastora.
L. non era un ragazzo evangelico seppur di fede molto cattolica (che può sembrare assurdo ma nella fede evangelica fa una grossa differenza).
Comunque trovai il coraggio e confessai tutto alla pastora che dopo uno sconcerto iniziale, concesse il beneficio del dubbio dicendo che, se dopo un anno stavamo ancora assieme, ci saremmo dovuti sposare perché non si può tirare a lungo una relazione senza rapporti fisici (questo è il motivo per cui nelle chiese più grandi ci si sposa giovanissimi).
Avevo appena dato il mio primo bacio ma come avrei potuto pensare a qualcosa di più, addirittura al matrimonio, con un ragazzo che conoscevo appena!
L. venne anche un paio di domeniche ai culti domenicali e faceva un sacco di domande alla pastora e questo gli conferì dei punti positivi.
L. un giorno mi invitò a pranzo a casa sua e ci mancò pochissimo che mi facesse cedere, passatemi il termine, al peccato di un rapporto con lui, io mi tirai indietro non tanto per paure legati alla fede ma proprio per paura dell’atto in se (non è che la mia generazione brillasse in fatto di educazione sessuale ed affettiva, a maggior ragione in un ambiente così integralista).
Quando raccontai questo avvenimento alla pastora (non a mia madre), dopo avermi fatto una ramanzina per essere stata a casa di un uomo da sola, mi lodò per non aver ceduto al peccato.
La pastora decise di premiarmi facendomi firmare, insieme ad altri “anziani” della chiesa (tra cui mia sorella) l’atto notarile della fondazione dell’associazione che regolava l’esistenza della chiesa.
La mia storia con L. non durò più di due mesi perché ben presto capì che io e lui non avevamo niente che ci legasse davvero e io mi sentivo come se stessi perdendo del tempo con qualcuno che non mi interessava davvero, così lo lasciai.
Da allora non ebbi più una storia fino al 2018, ma a questo ci arriviamo dopo.
Dopo il secondo corso di fotografia ne spuntò uno “professionale” a Pontedera così riuscì a frequentare anche quello.
Proprio in quel corso, l’insegnate (fotografo di cerimonie ed eventi nella zona) notò le mie foto e mi chiese di collaborare con lui per qualche matrimonio e qualche evento.
Toccai il cielo con un dito: ce l’avevo fatta e contro le aspettative di mio padre (che in realtà si era messo l’anima in pace e mi aveva pure finanziato la mia prima fotocamera digitale) mi ero trovata un lavoretto nel campo.
Per un paio di estati lavorai con questo fotografo a matrimoni e tornei di calcio infantili della zona.
In quel periodo sommavo diversi lavori (tutti in nero ovviamente) compreso il collaborare nella segreteria pastorale con mia sorella (lei riceveva un minimo compenso dalla chiesa, io no perché non bastavano i soldi) e seguire la riunione dei “giovani” alla quale si aggiunse la scuola domenicale
(ossia il “catechismo” per i bambini durante la predicazione della domenica, così non disturbavano i genitori che ascoltavano il sermone).
Sia io che mia sorella eravamo sempre impegnatissime e non avevamo più tempo per altro. Poi nel 2012 successe la prima cosa GRAVISSIMA!
Come già specificato, la mia famiglia non aveva una situazione familiare rosea, in quel periodo ci fu la necessità di far ricoverare mia nonna paterna in una casa di riposo e questa ulteriore spesa fu il colpo di grazia per la nostra famiglia.
Un giorno, io e mia sorella, venimmo a scoprire di alcune spese importanti insolute da mio padre e io mi ritrovai la minaccia della padrona di casa di sfrattarci.
Quando ci sfogammo con la pastora lei ci disse che era giunto il tempo di andarcene da casa dei nostri genitori per non cadere nel baratro con loro, e quindi ci suggerì di trasferirci a casa sua.
Questa è la versione che io ho impressa molto chiaramente nei miei ricordi, eppure la pastora volendo inizialmente mentire solo ai miei genitori, riuscì a inculcare nella testa di mia sorella che era stata una nostra idea quella di andarcene e che lei (la pastora) si era offerta di ospitarci per evitare che finissimo chissà dove.
La versione della pastora fu ripetuta così tante volte che io stessa arrivai a dubitare dei miei ricordi e, nell’agendina di quell’anno, non specificai da chi era nata quell’idea (la mia psicologa mi ha spiegato che questo si chiama gaslighting).
La mia famiglia si spaccò in due e la pastora fingeva di fare da paciere mentre, in realtà, lavorava per tenerci separati parlando male degli uni con gli altri.
Ovviamente questa notizia non poteva essere divulgata né nella chiesa e nemmeno con i nostri parenti ma, a mio padre scappò uno sfogo con i suoi fratelli che non approvarono affatto e questo mise un po’ più di distanza tra la nostra famiglia e gli altri parenti.
Mia madre, legatissima a mia nonna materna, continuava a farle visita venendo disapprovata dalla pastora, mentre io e mia sorella ci convincevamo che non potevamo presentarci solo per le feste comandate ma, con tutti gli impegni che avevamo, divenne sempre più impossibile partecipare alle riunioni familiari.
Fu così che non vedemmo i nostri parenti per anni…io li ho rivisti solo una volta uscita dalla chiesa nel 2019, mia sorella non si è più fatta vedere e nemmeno sentire.
La pastora non aveva fatto i calcoli che, trasferendoci anche noi a casa sua (perché già ospitava una sua sorella di fede della Campania e l’unica cugina di mia madre che si era convertita) erano aumentate le spese, quindi ci spingeva a cercare lavori più stabili e a chiedere soldi ai nostri genitori.
Provo ancora un’immensa vergogna per questa situazione: noi non dovevamo essere in quella casa.
Mia sorella si fece convincere a fare il corso OSS col fine di essere assunta nella casa di riposo nella quale lavoravano altre sorelle della chiesa, in vari ruoli, così da poter portare alla salvezza tutti quei vecchietti alla fine dei loro giorni.
Provò insistentemente a convincere anche me a fare quel corso ma io non mi sentivo a mio agio a rapportarmi ai malati e a dover entrare nel loro intimo dovendo lavarli e cambiarli.
Ebbi diverse litigate furiose con la pastora per questo argomento nelle quali venivo additata come lavativa.
In quel periodo, anno 2014, mi ero trovata un lavoro da baby-sitter e donna delle pulizie che mi impegnava dal lunedì al giovedì (con tutti i soliti impegni della chiesa), non è che proprio non facessi niente, ecco…
Comunque mia sorella finì il suo corso da OSS e riuscì a farsi assumere proprio in quella casa di riposo che la pastora voleva per lei.
In quel contesto scoprimmo che la diaconia valdese (l’ente religioso che gestiva quella casa di riposo e altre strutture nella valle) aveva indetto un bando per partecipare al servizio civile e comprendeva due progetti in due case di riposo e uno in un ufficio addetto a politiche giovanili ed educative/centro di accoglienza per migranti.
La pastora riprovò ad insistere sulle case di riposo ma io decidetti di testa mia e feci domanda per il progetto riguardante i giovani e i migranti (sperando di lavorare con i giovani piuttosto che con i migranti che mi facevano un po’ timore).
Quando venni presa per quel progetto la pastora si arrabbiò molto e si infuriò ancora di più quando, per una questione di logistica, mi misero a lavorare proprio con i migranti.
Mi veniva chiesto di assistere l’insegnante di lingua italiana e di aiutare i richiedenti asilo con le varie pratiche mediche o si semplice integrazione nel territorio.
All’inizio mi spaventava molto avere a che fare con questi uomini, per lo più africani e musulmani, con una cultura e una storia personale così diversa e forte rispetto alla mia, eppure è stata una delle esperienze più belle e formative della mia vita. Si può tranquillamente dire che il 2015, anno in cui ho iniziato il servizio civile, sia stato uno spartiacque per me.
In quell’anno ho stretto alcune amicizie che porto avanti ancora adesso (la mia collega C., volontaria come me, è stata una delle mie testimoni di nozze), altre che si sono perse (i volontari provenienti da paesi esteri) ma tutte che mi hanno arricchito immensamente.
L’insegnante di italiano, R., mi prese sotto la sua ala e iniziò a far fare a me le lezioni di lingua, anche con gli analfabeti (che è veramente difficile!) e io ho amato fare tutto ciò.
Mi sentivo utile e, soprattutto, avevo finalmente un “lavoro” che mi piaceva tanto che R. mi incoraggiò a prendere l’abilitazione all’insegnamento della lingua italiana agli stranieri.
A novembre 2015 però ci fu l’attentato del Bataclan a Parigi e tutti i miei nuovi sogni si scontrarono con una realtà assurda.
Dopo quell’attentato, la pastora, già contraria al mio “frequentare” degli uomini musulmani (quindi eretici), decise che dovevo OBBLIGATORIAMENTE interrompere quel lavoro, perché non potevo servire della gente palesemente contro i cristiani e che ammazzavano la gente.
Io mi ribellai con tutte le mie forze, fino alle lacrime…all’epoca avevo 25 anni e volevo essere libera di decidere del mio futuro, ma non avevo fatto i conti con la cattiveria che avevo di fronte.
La pastora fece diversi “concili” alle mie spalle con gli altri abitanti della casa e anche alcuni con i miei genitori e arrivarono a mettermi con la spalle al muro: o lasci il progetto migranti oppure te ne vai di casa (il che mi precludeva anche tornare dai miei genitori perché si opposero di riaccogliermi se avessi continuato questo lavoro).
Per chi non lo sapesse, un volontario di servizio civile non percepisce uno stipendio ma un rimborso spese di circa 430€, che è una cifra assolutamente inutile per vivere autonomamente.
Fui costretta ad accettare le loro condizioni e lasciare il progetto migranti e mi feci spostare nella sezioni dei progetti educativi per giovani e scuole.
Il giorno che mi imposero questa scelta obbligata, decisi di uscire da quella casa per un giorno per sfogare la mia rabbia ma mi vennero sequestrate le chiavi della mia macchina (la pastora abitava in una borgata di montagna alla quale ci si arrivava solo in macchina, dato che il centro paese era un po’ distante a piedi).
Mi venne concesso di poter passeggiare da sola nella borgata ma io riuscì ad arrivare in paese a piedi, mi comprai un biglietto del pullman per Pontedera e, dopo aver pregato C. di venire a prendermi alla fermata del pullman passai l’intero pomeriggio fino a tarda sera con lei a sfogarmi e distrarmi, senza avvisare nessuno di dove ero e con chi ero.
Che sensazione incredibile di libertà.
C. aveva appuntamento con delle altre sue amiche per andare a ballare ma io mi sentivo di aver fatto abbastanza la ribelle per quel giorno e C. mi riportò a casa della pastora.
Finì il mio anno di servizio civile con tanto amaro in bocca ma avevo appreso anche qualcosa in più: avevo imparato cosa voleva dire sentirsi vivi e non volevo più limitarmi ad esistere.
Il confronto, non solo con la libertà degli altri volontari, ma anche con le storie forti dei migranti mi avevano fatto capire che quella che vivevo non era una vita giusta ma ero ancora divisa tra il mio IO e la volontà di Dio (o almeno quella che credevo lo fosse).
[Questo concetto è un principio base di molto predicazioni: il tuo IO deve diminuire, fino ad annullarsi, per lasciare posto a DIO dentro di te].
Dopo quell’esperienza mi trovai lavoro come stagista in un hotel e mantenni il più possibile le mie nuove amicizie integrandole con i miei due amici di sempre, A. ed M.
Avevo finalmente un minimo di vita sociale ma alla pastora questo non stava bene e spesso mi rimbeccava che uscivo troppo spesso e mi distraevo dai miei doveri verso la chiesa (uscivo un massimo di due volte alla settimana).
Aggiunsi anche il “peccato” di utilizzare maggiormente social network come Facebook e Instagram (considerati, insieme a WhatsApp, mezzi del diavolo) e, a fatica, riuscii a far comprendere che, in quanto stagista come Addetta Comunicazione e Social Media dell’hotel, dovevo usarli per lavoro.
Finì l’anno di stage e l’hotel decise di non assumermi (cosa molto frequente negli stage) ma riuscii, nell’arco di un mese, a trovarmi lavoro come scaffalista/cassiera in un supermercato.
Avevo un contratto pessimo con una paga altrettanto pessima ma era il mio primo lavoro a tempo determinato, a 27 anni!
Anche quest’esperienza si può definire cruciale nel mio percorso per uscire dalla chiesa.
Lavoravo full time con dei turni impossibili e iniziai a mancare a riunioni e a sermoni domenicali perché dovevo lavorare, con somma disapprovazione della pastora (teniamo presente che tutti coloro che, per qualsiasi motivo, non potevano venire a questi incontri, dovevano giustificarsi con la pastora).
Da tempo avevo solo più la responsabilità di badare ai cani da guardia della chiesa e di curare la scuola domenicale perché non erano arrivati nuovi giovani e tre di quelli che curavano se ne erano andati con le loro rispettive famiglie.
Al lavoro strinsi amicizia con due colleghe, E. ed A. (E. è stata l’altra mia testimone di nozze), passavamo tutto il giorno e tutti i giorni insieme e a loro ormai avevo iniziato a raccontare qualcosina della mia vita.
Nell’estate del 2018, tramite Facebook, conobbi un ragazzo con cui uscii tre volte (dopo 10 anni che non ero più uscita con nessuno), finì in retta e non successe niente di che se non qualche bacetto (visto che lo beccai a baciare un’altra ragazza) ma la pastora mi disapprovò nuovamente.
Un mesetto più tardi la mia amica e collega E, visto che quest’ultima esperienza era andata male, mi convinse a conoscere un caro amico del suo ragazzo.
Fu così che conobbi AC e lui fu la svolta decisiva.
Ci siamo piaciuti fin da subito e io, nonostante avessi avvisato la pastora di questa nuova situazione, lo frequentai un po’ di nascosto, mentendo sui nostri luoghi d’incontro, dato che lo raggiungevo ogni volta che potevo a casa sua a Firenze.
AC è stato il primo ragazzo con cui ho avuto la mia prima volta, a 28 anni, che vissi con un misto di paura per la portata di tale segreto con la pastora.
Però anche questa storia non era destinata a durare e AC, dopo 3 mesi, mi lasciò.
Per me fu devastante perché mi stavo iniziando ad affezionare a lui, oltre al fatto che, per stare con lui, stavo mettendo a repentaglio tutto il mio mondo anche se, a quel punto, mi resi conto che io in quel mondo non riuscivo più a starci, non volevo più starci.
Ormai erano mesi che non facevo altro che litigare con tutti nella casa perché la mia nuova vita sociale/lavorativa era altamente disapprovata e ogni volta che volevo uscire mi mettevano impedimenti di ogni genere.
Erano almeno un paio d’anni che la pastora affittava un appartamento a Pienza per curare le persone che, lì, si erano convertite; quindi lei passava tutta la settimana a Pienza scendendo a casa sola la domenica mattina (affitto, ovviamente, a partecipazione delle decime della chiesa, la pastora era una pensionata).
Tutta la settimana vivevamo da sole, in casa della pastora, io e mia sorella, mentre la cugina di mia mamma faceva la spola tra il suo lavoro e Pienza; quindi trovavo inaccettabile questi rimproveri sulle mie uscite settimanali.
Mi veniva detto che non andava bene lasciare la casa disabitata perché si rischiava di invogliare i ladri a far irruzione.
Dovevamo badare al suo gatto e a i suoi pappagalli (finchè un giorno ha deciso di lasciarci solo il gatto, tanto aveva i suoi tre cani con se), tenerle pulita la casa e non perdere tempo con internet e tv (ci staccava la connessione internet e chiudeva chiave il suo ufficio col modem – questa cosa terminò quando con i miei soldi cambiai operatore al mio cellulare i mi misi internet mobile).
In quel periodo quante serie tv ho guardato clandestinamente (perché sarebbero state giudicate inadatte per una cristiana).
Fatto sta che, dopo essere stata lasciata da AC, ricevetti il tanto rinnovo a tempo indeterminato e fu lì che decisi, improvvisamente, di andarmene dalla casa della pastora e dalla chiesa.
Continua con la parte terza.